Il colonialismo è un sistema
- Pagine250
- Prezzo24.00
- Anno2024
- ISBN978-88-8273-197-7
- NoteSartriana 18
Il volume propone la traduzione italiana del manoscritto francese Les racines de l’éthique (edito in lingua originale dalla rivista «Études sartriennes» nel 2015), scritto da Jean-Paul Sartre in vista della conferenza svoltasi presso l’Istituto Gramsci di Roma dal 22 al 25 maggio 1964. In queste pagine l’autore si propone di descrivere «l’esperienza etica nella sua oggettività», dando continuità alle sue ricerche precedenti, nelle quali aveva analizzato dialetticamente la società a lui contemporanea. Tuttavia, Sartre non si limita a questo e arriva a formulare una teoria etica originale.
La radice dell’agire sociale è da situare nel bisogno, ossia nelle ragioni pratiche, materiali e concrete che motivano gli individui a compiere le proprie azioni. Tuttavia, in questa prassi gli individui si scontrano con quegli «oggetti sociali» che per Sartre manifestano e costituiscono la struttura normativa della società, ossia le istituzioni, i costumi e i valori. Questi oggetti del campo sociale non possono essere evitati, poiché agiscono nell’interiorità dell’individuo, dirigendo le sue azioni e dando forma alle sue motivazioni. In altre parole, tali oggetti alienano le azioni individuali e impongono agli agenti delle condotte ben definite, attraverso le quali realizzarsi nel campo sociale stesso.
Per Sartre, insomma, l’esperienza etica nella sua oggettività è un’esperienza di alienazione, tale per cui si manifesta ciò che egli chiama «paradosso etico»: la realizzazione di un contenuto alienante non potrà far altro che alienare l’individuo che agisce.Per tale ragione, Sartre sostiene che la «vera etica» sia quella che permette all’uomo di riconoscere questa alienazione e, soprattutto, che gli consente di inventare, ossia di trovare nuovi mezzi e strumenti per realizzarsi, in maniera autentica e nuova rispetto a quanto proviene dal passato. La «vera etica», insomma, è quella che libera le possibilità individuali, a differenza dell’etica normativa, la quale invece le aliena. Il fine della nuova etica immaginata da Sartre è dunque quello di permettere all’uomo di realizzare praticamente la propria libertà.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.
Il libro esplora la relazione unica, emblematica, durata tutta la vita, tra Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, attraverso un confronto critico tra gli scritti originali dell’uno e dell’altra. Michel Kail, ideatore di questo libro, propone un’analisi comparata nella forma di un dialogo e di una conversazione sui temi centrali del loro pensiero. Entrambi filosofi, entrambi scrittori di romanzi, sensibili a tutte le innovazioni culturali, entrambi impegnati nell’appoggio fattivo all’indipendenza dell'Algeria, e al sostegno del ’68 durante il maggio francese. Uniti dalla comune adesione ai principi dell’esistenzialismo, Simone de Beauvoir li applica in particolare alla questione dell’emancipazione femminile. La sua ricerca costituisce una delle prime e più acute analisi filosofiche sul tema della differenza tra i sessi e una delle più radicali denunce del monopolio maschile della cultura, aprendo la strada al pensiero femminista. Il testo trae spunto dal continuo e mai interrotto dialogo tra due protagonisti assoluti della cultura del Novecento francese; un raccontarsi per conoscersi e riconoscersi e rappresenta ancora oggi un momento culturale di altissimo valore sul quale non si può non riflettere.
Michel Kail è docente emerito di filosofia a Parigi, riconosciuto tra i massimi esperti sartriani è stato a lungo (dal 1986 al 2007) membro del Comitato di redazione della rivista filosofica fondata da Sartre «Les Temps Modernes» e siede attualmente nel Comitato scientifico del Centro studi Simone de Beauvoir. Autore di numerosissimi articoli e saggi, ha curato per la Christian Marinotti Edizioni la raccola di testi di Jean-Paul Sartre sulla politica dal titolo Tortura, diritto e libertà (2018).
Nel 1943 la casa di produzione cinematografica francese Pathé, volendo promuovere la rinascita culturale della Nazione durante l'occupazione tedesca in piena guerra mondiale, propose ad alcuni scrittori di redigere testi che potessero essere adattati per il cinema, dando così voce alla speranza che la liberazione e la fine della guerra avrebbero portato ad una nuova consapevolezza sociale e civile. Sartre, accogliendo l’invito, scrisse Typhus, il progetto purtroppo non ebbe seguito.
Tuttavia nel 1953 il regista Yves Allégret si ispirò a questo testo per realizzare il film, Les Orgueilleux (Gli orgogliosi), interpretato niente meno che da Gérard Philipe e Michèle Morgan, film del quale però Sartre rifiutò la paternità. La sceneggiatura originaria di Jean-Paul Sartre ambienta la narrazione negli anni '40 in una città portuale della Malesia popolata da una nutrita colonia di europei e colpita da un’epidemia di tifo proprio nel bel mezzo della Seconda Guerra mondiale.
I protagonisti, Nellie e Georges, si incontrano nel pieno dell'epidemia: la prima è una cantante di locali notturni di dubbia reputazione, con il sogno di intraprendere una vita diversa in Europa, ma con la disponibilità a prostituirsi pur di ottenere un lavoro; il secondo è un medico militare radiato dall’albo e votato con accanimento all’autodistruzione, alcolizzato, è sempre pronto a compiere piccole azioni meschine per una bottiglia di whisky. Entrambi si riconoscono nella vita perduta dell'altro, pur rivendicando con orgoglio il diritto di fare di se stessi ciò che vogliono; nello stesso tempo si accusano reciprocamente di avere distrutto la propria dignità. Inaspettatamente nasce fra i due un amore che vince l’orgoglio e il reciproco disprezzo; insieme intraprendono un percorso di redenzione, ritrovando la dignità perduta e unendo i propri destini nella lotta all’epidemia in nome della solidarietà verso i più deboli.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.
Bariona è un originale racconto scritto e rappresentato da Sartre nel Natale del 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo di Treviri. Sartre ebbe modo allora di conversare a lungo con i preti detenuti, discutendo con sincerità di fede e teologia. E’ forse alla luce di questa nuova esperienza che Sartre scrisse un testo teatrale sul mistero del Natale. Lo compose in breve tempo, scelse gli attori, assi-stette a tutte le prove, creò la messa in scena ed i costumi e lui stesso vi partecipò nella parte del Re Magio Baldassarre. La storia ruota intorno alla figura di Bariona (dal curioso soprannome di “figlio del tuono”), capo di un villaggio vicino a Betlemme ed è ambientata nell’epoca in cui la Giudea era oppressa dai Romani e vessata da continue richieste di tributi. Alla visione di Gesù Bambino Bariona abbandona ogni diffidenza verso il Messia e si impegna nella realizzazione del progetto di liberazione del suo popolo. Il testo si offre al lettore come l’immagine di un’esperienza religiosa che raggiunge il suo apice nella descrizione, poetica e pittorica insieme, del rapporto di intimità che lega la Madonna al Bambino, e nel contempo come esperienza politica che, nella chiara allusione alla Francia occupata dai nazisti, vuole creare aggregazione e solidarietà tra i prigionieri, credenti e non credenti, e sollecitarli alla resistenza contro gli invasori. Progetto, questo, assolutamente nuovo e singolare per Sartre, notoriamente riconosciuto come l’esponente di un esistenzialismo ateo; lui stesso non ha esitato a dichiarare di aver avuto sempre un rapporto difficile ed impossibile con Dio. Oggi, la lettura di quest’opera, offre l’occasione di ripensare l’ateismo di Sartre e la sua filosofia dell’esistenza.
JEAN-PAUL SARTRE (1905-1980) è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.
Di straordinaria attualità e pubblicati per la prima volta in Italia, i testi raccolti in questo volume riportano per intero le riflessioni di Sartre su un tema - la verità - sul quale è ritornato a più riprese durante la sua vita di filosofo. Sartre si confronta con quelle che lui individua come le tre possibili accezioni di verità: la "verità del certo" rappresentata dalla scienza e dal suo corollario politico, la democrazia; la "verità del probabile" definita dalla filosofia ed infine la "verità dell'uomo solo", che prova ad andare al di là del certo e del probabile per scoprire quella verità che scaturisce dalla propria ricerca individuale. Sartre cerca, in chiave ironico-critica, di difendere la sua tesi, ovvero la superirorità "dell'uomo solo" sulle verità della scienza e le approssimazioni dei filosofi, procedendo di aporia in aporia moltiplicando dubbi e obiezioni. Non è affatto semplice imporre oggi un'alternativa alla scienza ed alla filosofia.
"Ci vorrebbe un racconto filosofico per convincerci che la Verità non è altro che una leggenda che è riuscita a farsi passare per vera". Jean-Paul Sartre
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.
Di straordinaria attualità, le riflessioni politiche di Sartre raccolte in questo volume, a cura di Michel Kail, ripercorrono, in momenti storici differenti, le analisi e le lucide considerazioni sulla Tortura, il Diritto e la Libertà, del tutto inediti al pubblico italiano. I primi studi sul Diritto risalgono al 1927 dedicati al rapporto tra sovranità dello Stato e diritto naturale degli individui ed all’amara costatazione dei perpetui conflitti tra diritti individuali e diritti collettivi. Il diritto non è il frutto della libertà individuale, né del costume, bensì è un’esperienza dialettica che assicura alla collettività la sua coesione. Ma quando la collettività s’istituzionalizza in società, non è escluso pensare che lo Stato possa anche assumere prerogative basate sul Terrore e sulla Violenza. A partire dal 1947-48 le riflessioni di Sartre si rivolgono ai crimini di guerra ed alla funzione del Tribunale Russell e di quello di Norimberga convocati per discutere sui temi della tortura e del genocidio. É ipotizzabile la creazione di un Tribunale tanto rivoluzionario da essere capace di garantire alle esigenze etiche delle masse una dimensione giuridica? Nel 1972 Sartre tiene una Conferenza a Bruxelles sul rapporto fondamentale tra la Giustizia e lo Stato. Sartre pone due questioni di rilievo, ancora oggi al centro del dibattito politico: può esserci libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e dall’esecutivo? Ed altra questione: la Giustizia deriva dallo Stato o dal popolo? Le analisi di Sartre, data la complessità dei temi affrontati, sono costellate da ripensamenti, revisioni, paradossi e contraddizioni derivanti, anche e soprattutto, dalla dialettica della storia che trasforma ogni concetto nel suo contrario in una tensione sempre aperta a nuovi sviluppi. Sartre ancora una volta ci sorprende lasciandoci degli scritti profetici che aiutano a comprendere con più consapevolezza l’epoca tumultuosa che stiamo vivendo, sempre più turbata da tensioni e conflitti mondiali, che corrono il rischio di innescare dittature e massacri.
G. F.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.
Nel dicembre del 1961 Sartre fu invitato a tenere una conferenza all’Istituto Gramsci di Roma, sul tema “soggettività e marxismo”. Presentò le sue ultime riflessioni sulla necessità di rinnovamento del marxismo dall’interno, suscitando così un dibattito di eccezionale vivacità, cui presero parte alcune tra le figure di intellettuali più in vista vicini al PCI (Della Volpe, Colletti, Lombardo-Radice, Luporini, Paci, Valentini, Semerari e altri). Sartre mostrò come l’analisi della soggettività fosse indispensabile per comprendere i fenomeni sociali. Attraverso la presentazione di casi singoli – l’operaio antisemita, l’amore in Stendhal, l’anarco-sindacalismo – delineò un’idea di soggettività come “universale singolare”, prodotto della storia e contemporaneamente invenzione di possibilità. La conferenza presenta uno straordinario spaccato del pensiero di uno dei più grandi autori del Novecento e un’introduzione alle tesi di una delle sue opere filosofiche più complesse: la Critica della ragione dialettica. Che cosa sarebbe successo se le posizioni di Sartre avessero fatto breccia nella cultura politica ufficiale del PCI dell’epoca? Un pensiero che poneva radicalmente la questione di che cosa sia la soggettività in una prospettiva marxista quali effetti etici e politici avrebbe potuto produrre? Quali progressi avrebbero potuto segnare la teoria marxista se si fosse posto al centro del dibattito il problema etico, come Sartre andava affermando? Queste domande, rimaste tuttora aperte, rappresentano ancor oggi la posta in gioco più rilevante della conferenza di Sartre e del dibattito che ne seguì.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è forse l'esponente più rappresentativo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha sempre attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.
Scritto al suo rientro dal viaggio in Germania, dove aveva studiato la fenomenologia di Husserl, La trascendenza dell’Ego è il saggio che segna l’esordio filosofico di Jean-Paul Sartre. Questo scritto è di un’importanza fondamentale: non solo contiene in nuce tutti i temi del futuro esistenzialismo sartriano, ma costituisce una pietra miliare nella storia del pensiero filosofico del Novecento. Sartre vi critica il residuo idealistico presente nella filosofia del maestro. Rivolge un attacco definitivo alla nozione di Io e a tutta la mitologia dell’“interiorità”, così cara ad una certa cultura francese del tempo. L’Io è in realtà una “cosa” come le altre “cose” del mondo. Esiste fuori dalla coscienza, come l’albero e la casa. Non coincide con la coscienza ma rappresenta un punto di opacità nella coscienza, la quale, in prima battuta, è rigorosamente impersonale. Purificare la coscienza dall’Io è, per Sartre, l’operazione fondamentale per la creazione di un nuovo materialismo che sia all’altezza dei tempi. Gilles Deleuze farà di queste pagine il fondamento del proprio pensiero e Jacques Lacan le utilizzerà per ripensare lo statuto del discorso psicoanalitico e la nozione freudiana di inconscio.
Per i nuovi orientamenti materialistici, che caratterizzano il più vitale pensiero filosofico del terzo millennio, questo testo di Sartre è un’opera che apre un nuovo e ancora inesplorato orizzonte del pensiero. La cura del testo è di Rocco Ronchi, che, nel saggio introduttivo, ne mette in luce la dirompente attualità e si chiede che cosa possa voler dire oggi fare filosofia speculativa.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Tra le sue maggiori opere ricordiamo, per la filosofia, L’essere e il nulla e la Critica della ragione dialettica e per la narrativa, fra tante, La nausea. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.
Apparso per la prima volta nel 1949 e del tutto inedito in Italia, Una strana amicizia è ambientato in un campo di prigionia tedesco, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Il protagonista, Brunet, è un militante del Partito comunista francese che nel campo cerca di tenere uniti i compagni e di sensibilizzare le coscienze di tutti gli internati per convincerli a continuare la lotta contro il nazismo. Ma un giorno scopre che il suo braccio destro, Schneider, non è la persona che credeva e in più che l’Unione Sovietica ha da poco firmato un patto con la Germania di Hitler…
In questo romanzo Sartre mescola la personale esperienza del campo di prigionia e le violente discussioni che animavano il dibattito politico dell’epoca con qualcosa che forse gli sta ancora più a cuore: l’amicizia con Paul Nizan, intellettuale e politico comunista che aveva polemicamente abbandonato il Partito a seguito del patto Molotov-Ribbentrop ed era andato volontario in guerra, morendo nel maggio del 1940.
Ad anni di distanza, il bisogno di Sartre è quello di tornare a fare i conti con un amico intimo dal quale si era allontanato, anche per dissidi politici, ma di cui ora condivide l’“impegno”. Con Una strana amicizia tenta così di ritrovare insieme il suo amico Nizan e il se stesso di un tempo, in ugual misura presenti nei due protagonisti del romanzo, Brunet e Schneider. Si tratta di un’operazione in cui la letteratura diventa parte dell’esistenza e assurge a luogo in cui accade ciò che non è stato, e si scrive ciò che non si è potuto dire.
Il Sartre filosofo si fonde col romanziere e il memorialista, fornendo al lettore la testimonianza di verità intima e a tratti struggente che costituisce uno dei momenti cruciali nello sviluppo del suo pensiero filosofico e del suo percorso etico.
Jean-Paul Sartre (1905-1980) è forse l’esponente più rappresentativo dell’esistenzialismo ed uno degli intellettuali francesi contemporanei più noti nel mondo. Versatile e poliedrico, la sua attività ha attraversato vasti campi del sapere: dalla filosofia alla letteratura, dal teatro al cinema, dal giornalismo alla politica. Tra le sue maggiori opere ricordiamo, per la filosofia, L’essere e il nulla e la Critica della ragione dialettica e per la narrativa, fra tante, La nausea. Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la letteratura, che rifiutò.